E oggi chi sono?

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Condannata dal vizio della lettura veloce a divorare libri su libri mi sono resa conto che mi piace non solo sfogliarli, annusarli, toccarli, prenderli e darli in prestito, rubarli, nasconderli, regalarli... ma persino parlarne fino all'esaustione.

mercoledì 26 marzo 2014

LA FINE DEL MONDO E IL PAESE DELLE MERAVIGLIE - Murakami Haruki (1985)

Più riguardo a La fine del mondo e il paese delle meraviglieLa prima domanda che mi sono fatta, una volta finito questo libro, è stata: MA PERCHE'?
Perché mi sono incaponita a finirlo, nonostante l'avessi già cominciato e abbandonato con la scusa che doveva essere restituito in biblioteca?
Perché piace così tanto, visto che mia sorella sembra non leggere altro nella sua vita? Va tanto di moda?
Ma perché bisogna soffrire millemila capitoli prima che la vicenda abbia un senso?
Perché i giapponesi scrivono frasi così essenziali con un parchissimo uso degli aggettivi e l'orrore per le subordinate? (Ehm, credo che questo abbia a che fare proprio con la struttura della lingua giapponese... ma tant'è!)
Perché mi lascia quella sensazione disturbante di non sapere se l'ho capito oppure no alla fine? Dà noia sentirsi stupidi alla fine di un  libro....

Viene voglia di lanciarlo dalla finestra per la frustrazione!

Eppure... eppure... eppure alla fine si è salvato dalla defenestrazione. Perché lascia dentro, alla fine della lettura, la sensazione che non possa essere tutto lì, che sicuramente nel prossimo libro si capirà il linguaggio segreto di questo autore, i motivi che animano i suoi protagonisti. Non che ci sia un seguito, no... ma mi ha lasciato la sensazione che se leggerò abbastanza libri di questo autore capirò cosa mi sta dicendo, comprenderò quel sussurro che percorre tutte le pagine e di cui ancora mi sfugge il senso.
Ecco, probabilmente dà dipendenza, non si riesce a smettere, come il cioccolato. Ma come quel cioccolato che non sai se ti piace davvero e allora continui a mangiarlo perché forse ti piace o forse no.

e io cosa leggo adesso?




venerdì 7 marzo 2014

IL SIMBOLO PERDUTO - Dan Brown (2009)



Più riguardo a Il simbolo perdutoOgnuno di noi ha degli scheletri nascosti nelle librerie, io ho una serie di scrittori/libri che una cara amica chiama "spegnicervello" che eviterei, solitamente, di esporre con orgoglio nel posto d'onore sugli scaffali. 
Dan Brown, come è abbastanza prevedibile, è uno di questi. Ha azzeccato la formula da caso editoriale con Il codice Da Vinci e non ha mai, giuro, davvero mai, cambiato il meccanismo che si può riassume in quattro punti:

1. cattivissimo super esperto di qualcosa di mistico (mai una volta che vogliano rubare i piani della bomba atomica o il conto corrente di Bill Gates! No, sempre la lancia di Longino, la pietra filosofale, il fazzoletto di Maria e il pagliaccetto di Gesù bambino)

2. Robert Lagdon, il nostro caro professore che, con la scusa della simbologia, diviene l'esperto espertissimo unico al mondo in grado di scoprire i super piani del super cattivo.

3. Bellissima donna coinvolta e in pericolo (e mai una volta che la molli al nostro fascinosissimo professore... vabeh la figlia di Gesù che non la molla, ma tutte le altre?)

4. Caccia al tesoro in giro per città da we romantico (Roma, Parigi, Venezia, Washington... e mai una volta che ci sia un mistero a Portogruaro!) con il nostro professore che rischia la vita e poi svela tutti gli intrighi.

Cambiano i riferimenti culturali e sottoculturali da leggende metropolitane, ma lo svolgimento è sempre, inesorabilmente, lo stesso. 

Perché farsi del male, allora?

Bella domanda, me la faccio ogni volta anch'io appena mi fiondo nella lettura e dopo poche pagine già capisco chi è il misteriosissimo cattivissimo... io che amo i gialli ma non capisco mai niente finché non me lo spiegano lentamente e con gentilezza.
Eppure non riesco a smettere, come le cattive abitudini. Ogni volta che mi passa sotto mano un libro di questo autore (sempre prestati, mai comperati, per favore!) provo a dargli una possibilità di stupirmi. 

Ecco, stupirmi proprio no, non c'è riuscito neanche stavolta; lo schema si ripropone invariato, l'unico brivido viene quando finalmente Robert Langdon muore! (Eh, dura poco, ma è la morte è descritta molto bene e l'autore viene fuori da questo problemino di aver ucciso il suo personaggio principale a tre quarti del libro con una bella trovata.) Eppure l'ho finito, senza lanciarlo fuori dalla finestra all'ennesima cazzata inverosimile ed ovvia. Sarà grazie al mistero esplorato - la massoneria americana - che non era così conosciuto, e forse grazie anche ad una mia disposizione un po' frivola e facilona alla lettura in questi giorni. 

No, non è un consiglio di lettura, questa è una confessione di un peccatuccio veniale.

E io cosa leggo adesso?